Il bisbetico domato

Film visto sicuramente mille volte in passato ma che non ricordavo affatto, parla d’un misantropo contadino costretto ad una convivenza forzata di qualche giorno con una bellissima donna di città (Ornella Muti), per giunta inspiegabilmente e ostinatamente innamorata di lui. Il film ne risulta una favola surreale, poetica, ma in fondo plausibile e che ha le sue ragioni di essere.
Ornella Muti è da sempre imbrigliata in questo ruolo di ragazza insoddisfatta in procinto di sposarsi e che perde la testa per qualcuno di completamente diverso da ciò che aveva, e per cui rinuncia a sicurezza e soldi, come anche proseguirà poi poco dopo in Stralunati, con Francesco Nuti.
Sulla stessa falsariga, con Celentano, c’è invece Innamorato pazzo.

Un cinema italiano che visto all’estero probabilmente colpirebbe molto, a causa di ambientazioni, dialoghi, montaggi, etc. ma a cui noi siamo abituati per tradizione. Un cinema che piace da sempre a tutte le mamme.

Regia: Castellano e Pipolo.
Anno: 1980.


– Mi spiace, ma io non posso fare l’amore con una donna se non ne sono innamorato.
– E quante volte ti sei innamorato?
– Mai!


Ho sognato di scrivere qui. Dicevo: …
Se circa un anno fa questo blog era in crisi e a rischio chiusura, le cose sono cambiate drasticamente. Ho ritrovato la mia dimensione. Su Lavanderie scrivo con naturalezza, come ai vecchi tempi.”

(18/3)

Tre tigri contro tre tigri

Il titolo era in scadenza (Netflix) così lo vedo di corsa. Struttura ad episodi con protagonisti rispettivamente Renato Pozzetto, Enrico Montesano e Paolo Villaggio. Strepitoso. Meno surreale del successivo Io tigro, tu tigri, egli tigra ma comunque validissimo.

Regia di Sergio Corbucci (nome indissolubilmente legato sia agli spaghetti western che alla commedia all’italiana, e da non confondere con il fratello Bruno) e Steno, anno 1977. Il successivo vedeva alla regia lo stesso Pozzetto insieme a Giorgio Capitani (Rimini, Rimini, un anno dopo).

Di Sergio Corbucci ne ho visti sicuramente molti, in particolare, nella sua lunga filmografia, salta all’occhio Rimini, Rimini (1987) visto in uno strano periodo natalizio in cui per fare qualcosa di veramente alternativo mi chiusi in casa a vedere tutti i film di Jerry Calà (chissà perché proprio i suoi, poi).

Comunque, stupendi tutti e tre gli episodi. Ovviamente l’avevo già visto, ma non lo ricordavo più.

Diabolik

Aspetto un anno prima di vedere questo film: trattasi di una trilogia dei Manetti Bros (e chi sono i Manetti Bros? Neanche fossero i fratelli Watchwoski). Uscito in piena pandemia, mi viene descritto come un lento film italiano che necessita di pazienza e attenzione, così che ne rimando la visione fino ad ora. Si possono dare giudizi prima di vedere qualcosa? Pare che alla gente piaccia farlo. Io più che altro non lo vedo perché, passato il santo passata la festa, e quando al cinema usciva il capitolo 2 io ero in ritardo con l’1, e quando al cinema è uscito il 3, mi sono ricordata di non aver visto nessuno di questi film.

Diabolik esce sempre sotto Natale. Era esattamente un anno fa, quando al Carcere Borbonico di Avellino, che ospita una ricca collezione di reperti storici della città, entrai per vedere una mostra su Diabolik che sarebbe terminata da lì a breve (il Museo Irpino, un’altra sezione, meno abbondante ma non di minore importanza, è situata invece nella Biblioteca, con i resti osco-sanniti e le tracce romani, che visitai poco più avanti).

C’ero solo io in quel museo, in quella sera tra dicembre e gennaio, in cui, nella città, le persone si riversavano allegramente nei mercati di Natale di Piazza Libertà o in qualche locale a bere vino, piuttosto che in un deserto museo, le cui luci si accendevano al mio passaggio. Tra mattonelle rotte (qualche lavoro in corso all’ultimo piano, e che ritornandoci a distanza di un anno ho visto che non hanno ancora risolto), opere dell’800 e tavole di fumetto, girovagai a lungo. Da allora, di Diabolik non ho saputo più nulla.

Ma, per tirare le somme e non dilungarmi oltre sulla mostra, vi dirò che questo film è molto bello e la sua italianità, in questo specifico caso, gioca a suo favore, rispettando lo stile del fumetto, che ricordiamo essere nato nel 1962 dalla matita delle sorelle Giussani. Una pellicola, insomma, che secondo me può essere apprezzata anche all’estero oltre che in Italia. Le location, come la città di Clerville, puzzano d’Italia e di lungomari italiani a distanza di km (il film è girato a Milano, Bologna, Trieste), i volti, a dispetto dei nomi (come quello di Lady Kant) sono tremendamente italiani. Eva Kant è Miriam Leone, una Miss Italia fortunata, che ai tempi forse non piacque più di altre ma che è stata brava nel tempo e ho lavorato molto: questo film ne è una buona prova ed è perfetta nella parte dell’algida contessa dal passato misterioso.
Nel film si spiega la genesi del rapporto tra Eva e Diabolik, che in realtà ho quasi sempre trascurato. Gli albi di Diabolik mi sono sempre capitati in disordine, e nonostante il tratto gradevole, li ho sempre trovati aventi un ché di semplicistico e datato. Non dico che non mi piacciano, dico semplicemente, che non avendo vissuto l’epoca, non posso capire quanto questo fumetto, provenendo da un periodo di repressione morale, ai tempi fosse considerato malvagio: insieme a Satanik e Kriminal di Max Bunker e Magnus, Diabolik, se si era ragazzini, doveva essere letto di nascosto a causa del suo contenuto disdicevole. Innanzitutto, questi erano sì fumetti, ma per adulti (oh dio! il fumetto non dovrebbe essere una cosa per bambini?) e presentavano dei protagonisti che eranodalla parte del male, degli anti-eroi, scaltri e furbi, in cui si riteneva fosse pericoloso immedesimarsi. Ma, le persone non si rendevano conto che il fascino di Diabolik proveniva non tanto dalla sua malvagità bensì dalla sua intelligenza, da quella sua freddezza che gli impediva di fare alcuno sbaglio, tutte qualità invidiabili in un uomo: che le utilizzasse per dei motivi non proprio meritevoli è un altro discorso. Anche da un nemico, anche da un esempio negativo, di Diabolik, bisogna osservare le sue qualità: non c’è nulla di male in questo. Non c’è nulla di male nel male di Diabolik, in una sorta di paradosso.

M’è piaciuto che abbiano inserito, come protagonista, Luca Marinelli, visto per la prima volta in una miniserie tv su De Andrè (2018, è sempre complice Sanremo che dopo il festival lascia incollati alla televisione con altri prodotti) e che so essere famoso per altri buoni film italiani come Non essere cattivo di Claudio Caligari (ma anche La solitudine dei numeri primi nella parte del protagonista, La grande bellezza, Lo chiamavano Jeeg Robot in parti secondarie, e nell’ultimo Le otto montagne del 2022). Marinelli in Diabolik utilizza un timbro così freddo da sembrare robotico, e mi dispiace che per il secondo ed il terzo film (Diabolik – Ginko all’attacco! e Diabolik – Chi sei?) non sia stato confermato come protagonista ma sostituito con Giacomo Gianniotti.

Comunque la trama del primo film è stata tratta dal secondo volume del fumetto, uscito nel 1963, e che mi piacerebbe recuperare, potrei averlo anche già in casa, ma non sono sicura.

Ah, grazie Conad per le federe di Diabolik regalate con i punti.

Tornerò (forse) con una recensione del secondo film e alcune citazioni niente male che avevo annotato.


Piacere di non averla mai incontrata. (Diabolik)

Completare le serie in sospeso

Lo ammetto, è passato un bel po’ dal mio ultimo articolo (datato 2023) e ora ritorno solo con un fugace aggiornamento su dei piccoli acquisti di fumetti, complice un po’ di confusione su tutto il destino di questi siti blog.

Dopo aver recuperato un volume mancante di Kingdom Hearts, manga che ripercorre la trama del famoso videogioco crossover tra il mondo Disney e quello di Final Fantasy (e che leggevo nel 2008) mi imbatto, nel riordinare le librerie, nella mia collezione di Ranma 1/2 interrotta accidentalmente nel 2003 e ripresa a tentoni anni dopo, a cui mi mancavano solo due volumetti, il 31 e il 36.

Ordinati entrambi su Ebay, mi arriva in pochi giorni il primo pacchetto, con allegato in omaggio anche un volume di “Let the Sushine In” di Mitsuru Adachi, autore molto in voga ai tempi in cui mi riavvicinavo ai manga, in special modo per la serie Touch!

Perché vi sto dicendo questo? Perché da una parte mi dispiace dover rinunciare a una rappresentazione ordinata dei miei acquisti nel corso del tempo, d’altra parte il passaggio all’età adulta inevitabilmente è segnato dalla consapevolezza che la “chiusura” (intesa come contrario di apertura) è una scelta più giusta quando questa non ha uno scopo ben definito.

Barbie e Oppenheimer una sola cosa dentro di me


Estati buie



Una recensione di quest’estate ritrovata ora e pubblicata con il canonico ritardo che caratterizza alcune cose degli ultimi anni (vedi Tenet). Oramai è acqua passata ma questi due film hanno segnato il mio ritorno al cinema. Il primo è il famoso Oppenheimer, l’ultimo lavoro di uno dei miei registi preferiti, Christopher Nolan (e di cui ho parlato abbondantemente in passato). Oppenheimer poteva essere tranquillamente il film dell’anno, in realtà si è rivelato troppo lungo, troppo americano e anche piuttosto scontato, nonostante delle originali ma gratuite e non richieste digressioni politico-amministrative post-conflitto nella seconda parte di film. Incentrato su J.Robert Oppenheimer, il fisico statunitense a capo del progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica, il film segue sia buona parte delle dinamiche sviluppate all’interno del progetto, sia gli eventi accaduti dopo il rilascio della bomba su Hiroshima e Nagasaki, nonché le conseguenze di una simile invenzione.

Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.

Dotato di un cast eccezionale (Cillian Murphy, Emily Blunt, Matt Damon, Robert Downey Jr., Josh Hartnett) ed un tema alquanto ricco, non poteva comunque essere un cattivo film, perlomeno non in assoluto. Bohr (l’inventore del modello atomico) è Kenneth Branagh, un po’ imbarazzante invece come è stato reso Einstein, troppo carico di stereotipi. In ogni caso l’atmosfera è sicuramente bella: ci sono gli scienziati dell’epoca e chi ha fatto un certo tipo di studi li conosce nel dettaglio e riesce a cogliere i vari riferimenti, buona anche la parte introspettiva su Oppenheimer in seguito al pentimento (d’altra parte, ci si trovava in una situazione in cui o si andava avanti o i tedeschi sarebbero andati avanti per primi, vincendo così loro la guerra), un po’ troppa attenzione invece sulla burocrazia post-fine conflitto, come già detto, e sulle vicende politiche americane che qui in Italia non conosciamo nel dettaglio e perciò risultano difficilmente apprezzabili dalla massa.

In sostanza un film cosiddetto buono ma che difficilmente verrà rivisto dai più una seconda volta, nemmeno dagli appassionati cinematografici. Nolan purtroppo sembra risentire dell’età e nella scelta dei temi, da tempo, segue un suo particolare filo logico, che probabilmente ci sarà completamente noto solo fra un altro decennio: ad esempio anche Dunkirk, ambientato in Francia durante la seconda guerra mondiale, era particolarmente duro e contenente delle idee proprie del regista; pare che infatti egli sia, in qualche modo, ossessionato dalla guerra e dal pericolo della guerra. Un altro esempio di queste idee è dato da Tenet, film sperimentale simile nella struttura all’opera d’esordio Memento, ma che ha come tema centrale l’importanza di evitare a tutti i costi un terzo conflitto mondiale.

Ma lungi da me l’idea di passare la giornata a disquisire di Nolan e di Oppenheimer, passiamo a Barbie.

La recensione di Tenet che scrissi nel 2020 si è persa nel limbo.

Altri film di Christopher Nolan: Tenet, Dunkirk, Interstellar, Inception, The Prestige, Batman begins, Memento.


Barbie

Come mi ha ricordato Miss Keta in “Condannata a danzare”, questi due film, Barbie e Oppenheimer, sono usciti praticamente insieme e la maggiorparte delle persone li ha visti entrambi in meno di 24 ore, al punto da considerarli inscindibili e aver dato luogo alla coniazione di alcuni termini come Oppenbarbie e Barbienheimer.

Si tratta infatti di due film, sì totalmente diversi, ma entrambi validi, con un buon cast e che tutti i cinefili si sono ben assicurati di vedere nel mese di agosto; per quanto riguarda Barbie, ad un primo impatto poteva essere scambiato per un film per bambini dai fini pubblicitari-commerciali della Mattel, nella pratica Barbie è molto di più e questo si deve alla mano di un’abilissima regista, Greta Gerwig, già autrice di un’altra ottima pellicola, Ladybird.

La Gerwig, giovane, sicuramente filo-femminista ma in un modo non scontato, ha solo 3-4 film all’attivo come regista, avendo in realtà iniziato la sua carriera da attrice (era in To Rome with Love di Woody Allen).

Volendo muoversi comodamente, trovate di suo Piccole donne su Netflix e Ladybird su Prime, in questo modo avrete recuperato gran parte dei frutti della sua carriera. Per il resto, sempre su Prime, c’è un documentario sulle Barbie di 44 minuti, più 6 minuti di contenuti speciali dedicati al film della Gerwig, che altro non è che un contenuto pubblicitario e non dice niente di nuovo per chi abbia già visto il film. Poi con lei come attrice trovate anche Rumore bianco.

Greta Gerwig “da giovane”, dieci anni fa in To Rome with Love di Woody Allen. Nemmeno me la ricordavo.

Sebbene non sia mai stata un’estimatrice della Mattel, questo film mi interessava specialmente per il cast (Ryan Gosling, Margot Robbie). Ho sempre pensato delle Barbie tutto ciò che le si critica anche nel film: ovvero che il modello di donna proposto da queste bambole fosse in qualche modo sbagliato. Il gioco delle Barbie non mi è mai risultato appassionante: non si potevano creare storie fantastiche, semplicemente con le Barbie si simulava una vita umana in cui Barbie si vestiva, si truccava, usciva con le amiche e faceva tutte cose che ho sempre reputato stupidaggini, fin da bambina.

Il film di Barbie però è davvero intelligente ed è in grado di fare autocritica, sia sulle Barbie sia sugli stereotipi maschili e femminili senza risultare mai stucchevole né scontato (geniale quando i Ken, cioè tutti i personaggi maschili, si appropriano di Barbieland, e nella villa di Barbie si continua a rivedere Il Padrino, film-simbolo dei gusti maschili e di una società incentrata sul patriarcato).

Si potrebbe dire davvero molto su questo film, ma è passato tempo e credo che in fondo sia già stato tutto detto (o che lo possiate ritrovare altrove). Molto bella la colonna sonora, che ho ascoltato una volta dopo il cinema e poi non ho ascoltato mai più: dopo un mese passato a vestirmi di rosa, e a rendere la casa perfetta come quella di Barbie, sono ritornata a vestirmi di nero e a sprofondare negli abissi che creo (e neanche più sono tornata al cinema). Ma questa è un’altra storia.


Altri film con Margot Robbie: Wolf of Wall Street di Scorsese (2013), La grande scommessa, Suicide SquadHarley Quinn), Terminal, Dreamland, Birds of Prey, Suicide Squad Missione suicida, Babylon di Damien Chazelle (La la land), Asteroid City di Wes Anderson (2023), I Tonya, C’era una volta a Hollywood. La caratteristica di Margot Robbie è che è ovunque ma non te ne accorgi perché ha quella faccia da classica bionda strafiga perfetta e uguale a tutte le altre (ma lei è più bella).

Bao Publishing

Negativa di Baronciani sfogliato mentre sono da Starbucks. Edito nel 2018.

Strano, no? Acquisto questo fumetto edito da Bao Publishing, in sconto al Libraccio al 50%. Ho sempre desiderato possedere le opere di Baronciani, ma quando me le ritrovo nelle mani mi rendo conto che… stilisticamente non è il mio genere, almeno per quanto riguarda le storie. È il caso di Negativa, affascinante nel titolo e che tratta confusamente di una ragazza affetta da disturbo della personalità. Un’impressione simile, non del tutto positiva, me la fece Quando tutto diventò blu, parabola sulla depressione, trattata realisticamente e che intristisce molto.

Poiché su Bao c’era la possibilità, su due acquisti, di avere una borsa in omaggio (a scelta fra due soggetti, ho preso quella nell’immagine di sopra) e l’idea non mi dispiaceva, mi sono ritrovata a prendere anche Il viaggio di Shuna, nuova uscita di Hayao Miyazaki, ben esposta in tutte le librerie. In realtà questa storia risale agli anni ’80, ai tempi di Nausicaa, e allo stesso modo di quest’ultimo (mi riferisco al fumetto, un seinen, 7 volumi) ha delle splendide illustrazioni a pastello, che in realtà sono così delicate da risultare poco vistose, e passerebbero inosservate se solo non si sapesse che sono di Miyazaki.
Il viaggio di Shuna, comunque, non si tratta di un fumetto, bensì di una favola, in cui le illustrazioni sono accompagnate a passaggi scritti, ma per la sua struttura sarebbe potuto essere benissimo un fumetto. Ispirato ad un’antica leggenda tibetana e all’introduzione dell’orzo nell’Asia orientale, l’edizione de Il viaggio di Shuna cavalca l’onda ecologica degli ultimi anni (attingendo però, come già detto, a un archivio del passato, quando fare manifesti d’ecologia era cosa di pochi e Hayao già era attivo in questo senso con le sue opere) e narra di un mondo devastato in cui è diventato difficile trovare ancora dei semi in grado di germogliare. Per questo Shuna si mette in viaggio: per ridare una speranza al suo popolo.
Poche le immagini che mi hanno emozionato, e la maggior parte di queste appartengono allo strano mondo, fatto di giganti, in cui Shuna cade alla ricerca del grano. Una storia triste, in cui egli perde anche la memoria nonché il suo il nome e in ciò, per certi versi, ricorda Keoku de La città incantata, di cui Shuna rappresenta un embrione. In questa storia è possibile ritrovare, miscelati, elementi sia di Nausicaa nella valle del vento (parte dell’ambientazione, il messaggio ecologico, 1982), La città incantata (2001) e Il Castello errante di Howl (2004).

A questo punto, dopo tale lettura, non resta che aspettare l’uscita de Il ragazzo e l’airone, a 10 anni da Si alza il vento (2013). Non ha senso parlare di opere mature di Miyazaki ora che ha raggiunto l’età di 82 anni, perché esse sono state mature sempre, eppure Si alza il vento ebbe una certa secchezza ed infelicità nei contenuti, che ho la sensazione si ripresenteranno anche nella sua ultima opera attesa. Era troppo poco una favola, colma di molta, troppa tristezza.

Dopo ciò, ho deciso di smettere di acquistare fumetti costosi appena usciti: non ne vale la pena, ho letto troppe cose negli anni affinché qualcosa di patinato e fresco di stampa possa emozionarmi. Preferisco di gran lunga raccogliere vecchi fumetti della mia infanzia nei mercatini, o comprare dell’usato su Ebay. Mi muoverò in tal senso.

Consigliato: no. Se dovete fare regali di Natale ai vostri nipoti o fate del collezionismo.

Garden

Edito da Coconino Press, 1993, genere seinen. Uscito solo adesso in Italia, si tratta di una raccolta di storie brevi pubblicate negli anni ’90 in Giappone su diverse riviste come Comic Cue, Manga Erotics e GARO.

Rientra nella categoria di fumetti appena usciti che mi solleticavano un po’. Poco prima di partire scelgo di prendere l’incognito Garden anziché Il viaggio di Shuna, perché sarebbe stato più facile ricordarsi di quest’ultimo per un acquisto successivo. Un tempo mi informavo prima di acquistare, ultimamente non lo faccio granché. Se il fumetto si ripresenta davanti ai miei occhi una, due, tre volte, e mi attira, anche se non so di che si tratta, lo porto a casa. È il caso di Garden. Se mi fossi informata probabilmente non lo avrei preso: è di un macabro duro, e mi fa provare imbarazzo, peggio dell’ero guru nansensu di Yoshihiru Tsuge (che ha immagini semplici e blande, e le paure che rappresenta sono semplici e nette come un taglio di coltello) e dei peggiori artbook di Suehiro Maruo (L’inferno nelle bottiglie). Il volume si apre con fanciulle decadenti che nascono già vestite in uno strano mondo, ove vi sono monti di carne che gli abitanti chiamano “Madri”.
Il volume ha molti contenuti sessuali ed è nel complesso disturbante, ma si differenzia da altri manga per originalità, per bellezza delle tavole e per coraggio (o sprovvedutezza degna solo di qualche maniaco?). Il suo prezzo è giustificato dalle numerose illustrazioni a colori. Un’opera che si ispira a Hieronymus Bosch, che, si sa, non si è mai caratterizzato per tranquillità d’animo. Questo volume di Garden potrebbe essere mastodontico, non un manga, ma un insieme di tavole destinate a restare nella memoria. In realtà il confine tra opera d’arte e fumetto di consumo con delle ambizioni è sottile, e di solito può dirlo solo il tempo se un prodotto valga qualcosa o meno. Di certo, tra questo e Asano, io ho preferito questo.

Consigliato: ai fan di Hieronymus Bosch o ai pervertiti.

The Garden of Earthly Delights, Hyeronimus Bosch. Madrid, Museo del Prado.

Alcune opere di Hyeronimus Bosch, in Italia, sono visibili a Venezia. Potrei scrivere molto altro, ma mi fermo così.

Inauguro questa nuova rubrica, “Notti buie”, che conterrà articoli del passato scritti più che altro durante il periodo di lockdown.
In pratica tutto ciò che è in “Notti buie” è da retrodatarsi e costituisce un archivio.

Buona lettura.

Il migliore dei mondi e ultime uscite al cinema

Mi diverto così.

Uscito direttamente su Prime, è il terzo film di Maccio, perlomeno in veste da regista, dopo Italiano Medio e Omicidio all’Italiana. Io ovviamente l’ho visto APPENA uscito, a costo di vederlo al mattino col primo caffè della giornata. Il film, che si presenta ad un primo impatto meno esilarante dei due che lo hanno preceduto, ha comunque dei punti buoni e vuole essere una riflessione sulla tecnologia e sui paradossi e le stranezze del mondo di oggi. Maccio, classe ’78, in fondo non è che abbia tutti questi anni, ma dopotutto sarebbe sufficiente averne anche molti di meno per avvertire il cambiamento di un’epoca, avvenuto in un punto che definiremo, per comodità di cose, posto intorno al 2000, in corrispondenza del millennium bug.

Consigliatissimo.


Consigli per gli acquisti

Noto adesso che su Netflix è disponibile anche un altro film con Maccio: “Rapiniamo il duce”, del 2022, in cui credo sia in semplice veste di attore. Da vedere.

Interessante anche il nuovo film di Herbert Ballerina (pseudonimo di Luigi Luciano, potete dare un’occhiata al suo Instagram per farvi qualche risata), Uomini da marciapiede, che doveva essere al cinema da settembre e invece non s’è visto (oppure io non l’ho visto. forse una scarsa distribuzione?). Più prolifico come attore, Herbert Ballerina ha molti più film all’attivo del collega Maccio (che è indubbiamente la mente dei suoi video e all’opera come sceneggiatore). In uscita a Natale al cinema anche un altro film con BipBip Ballerina, La guerra dei nonni, che poiché è con Salemme e sembra un classico film di Natale non m’interessa affatto. Da vedere invece, anche se va recuperato visto che è un po’ datato, Quel bravo ragazzo (2016), chiara citazione a Quei bravi ragazzi (Goodfellas) di Scorsese.

https://www.instagram.com/herbert_ballerina/

Nel frattempo, al cinema appare a sorpresa Napoleon, con Joaquin Phoenix, e credo proprio che vada visto. Al cinema anche il film della Cortellesi, che mi hanno molto proposto ma non mi interessa assolutamente (mi dà l’impressione di un banale temino sulla condizione della donna) e quello di Albanese, che allo stesso modo penso sia da scartare (mi sono accorta dell’esistenza di Albanese solo con È già ieri, remake de Il giorno della marmotta, che comunque non ho visto).

Vi farò sapere di Napolèon, visto che è presente al cinema qua vicino (chiuso però di lunedì).

Una semplice canzone da discoteca.

Nella colonna sonora de “Il migliore dei mondi”.

Come un kamikaze se tu esplodi io esplodo con te
Barbie e Oppenheimer una sola cosa dentro di me
Pam pam pam sparo a raffica
Battaglia senza una tattica
Distopia allegorica
Disobbedienza retorica
Loredana, Raffaella, Amanda, Ornella, Mina
Stelle polari orientano il mio cielo eremita

Il giudice ha emesso la sentenza
Condannata a danzare fino a nuova udienza


Questa canzone discutibile (e dall’ancora più discutibile video in loop) mi ha ricordato che c’era una recensione di Oppenbarbie che non ho mai pubblicato. Anche qui, vi farò sapere.